

“Faccio del mio meglio per raccontare storie che siano vive. Sono d’accordo con quello che diceva Fellini, non ci sono film belli e brutti, ci sono solo film vivi o morti. Cerco di fare film vivi“.
Parola di Matteo Garrone regista di “Io Capitano”, il film più applaudito dalla stampa presentato in concorso alla Mostra di Venezia e dal 7 settembre nei cinema.
Racconta il viaggio avventuroso di due giovani, Seydou e Moussa, che lasciano Dakar per raggiungere l’Europa.
I personaggi interpretati da Seydou Sarr e Moustapha Fall, sognano di diventare musicisti celebri in Europa ma attraversano le insidie del deserto, gli orrori dei centri di detenzione in Libia e i pericoli del mare.
“Dirò poco del film, aspettando che siate voi a trarre le vostre conclusioni – ha sempre scritto il regista sui social – Posso dire però che ho fatto scelte che sentivo, e credo che questo sia il filo conduttore che lega il mio percorso pur cambiando ogni volta genere”.
Intervistato a Venezia, Garrone ha raccontato “l’idea è stata quella di cambiare prospettiva, cioè mettere la macchina da presa in una sorta di controcampo, cioè far rivivere allo spettatore l’esperienza di cosa vuol dire fare quel viaggio.
Per realizzarlo era necessario farlo insieme a loro, quindi è un film che abbiamo fatto insieme. Io mi sono proprio aggrappato alle loro storie e alla verità”.
Garrone ha raccontato un’odissea contemporanea per dar voce a chi, appena sbarcato in Italia, diventa solo un numero.
“Sicuramente è un film che affronta un tema, come sappiamo, estremamente complesso, drammatico, però è anche un archetipo – ha detto – E’ un film che racconta dell’eterno viaggio verso la terra promessa, verso un futuro migliore.
Siamo abituati a vedere le immagini dei barconi che arrivano nel Mediterraneo. A volte vengono salvati a volte no.
La conta dei vivi e dei morti. E col tempo, con gli anni ti abitui a pensare che siano solo dei numeri, no? Invece dietro ogni numero c’è una persona, c’è un sogno, c’è una famiglia, ci sono dei desideri”.