“Non è vero che “non si può più dire niente”. Si può dire tutto. Ma oggi non puoi più farlo senza che qualcuno te ne chieda conto. E questa non è la fine della libertà: è l’inizio della consapevolezza. Possiamo ancora dire tutto, ma possiamo – e dobbiamo – imparare a dirlo meglio”.
Con queste parole, stampate anche sul retro di copertina, Cathy La Torre introduce il suo nuovo libro: “Non si può più dire niente – Manuale di sopravvivenza tra politicamente corretto e linguaggio inclusivo”.
Un manuale pratico per imparare a dire tutto, su uno dei temi più caldi e dibattuti del momento, senza offendere nessuno e senza cedere all’autocensura.
“Ma è anche un tentativo di offrire uno spazio di riflessione a chi ogni giorno si misura con la complessità del linguaggio”.
Ad aprirlo, dopo la prefazione del poeta, saggista e professore italiano Gian Maria Annovi, un’introduzione che spiega come leggere e, soprattutto, come approcciarsi a questo libro, in cui Cathy La Torre prova a rispondere alla domanda con la chiarezza e la concretezza che l’hanno resa una delle voci più ascoltate sul tema dei diritti e della comunicazione inclusiva.
Nove capitoli, divisi in tre parti, che analizzano come comunicare con rispetto nella vita quotidiana e nelle aziende. Il libro è una vera e propria cassetta degli attrezzi per chi lavora in azienda, gestisce un team, fa colloqui, parla in pubblico, comunica, parla sui social o, semplicemente, si relaziona con altre persone.
Si parte dal linguaggio inclusivo nel mondo del lavoro e i suoi principi chiave: neutralità di genere, evitando – quindi – “il maschile sovraesteso o plurale quando ci rivolgiamo a persone di generi diversi. Invece di “Cari clienti” possiamo dire “Gentile clientela””;
la rappresentatività, menzionando gruppi solitamente resi invisibili “ad esempio, quando parliamo di famiglie, parliamo di tutti i tipi di famiglie: quelle con un solo genitore, quelle allargate o ricomposte, quelle arcobaleno”; il rispetto dell’identità, utilizzando “i pronomi e i termini scelti dalle persone. Se qualcuno si presenta con un nome al femminile, lo rispettiamo, punto”; e infine flessibilità e buon senso: “non esistono formule magiche che funzionano sempre. Il linguaggio inclusivo richiede attenzione al contesto e alle persone coinvolte”.
Nel manuale trovano spazio anche tematiche molto calde come la comunicazione rispettosa in ambito lavorativo, tra linguaggio formale e informale, e il confine tra complimento e molestia.
“In ufficio, durante una riunione, un commento appropriato potrebbe essere: “La tua analisi del mercato è stata brillante, complimenti per la preparazione.” Una molestia invece: “Con quel cervello e quel fisico pazzesco, andrai lontano.” Vedete la differenza?”.
Il dibattito woke vs non-woke, dal significato del termine, la cui prima traccia scritta risale al 1962 fino alla percezione, decisamente più recente che “woke non è più chi si batte per l’inclusione, ma chi impone una nuova ortodossia: il pensiero unico!” e la conseguente nascita del mondo “non-woke”, “dalla sensazione diffusa che la richiesta di rispetto sia diventata una forma di imposizione”.
Ma anche la comunicazione digitale e mezzo social network, tra shitstorm e come evitarle, privacy, cyberbullismo, i rischi in cui si può incorrere insultando qualcuno online e una fondamentale parte dedicata all’educazione perché:
“dobbiamo insegnare che online valgono le stesse regole del mondo offline. […] È una cosa che diresti guardando la persona negli occhi? Se la risposta è “no”, non si pubblica. Il digitale non è un Far West senza legge. È uno spazio regolato dove i diritti e i doveri esistono. Dove la libertà di espressione non è libertà di oppressione”.
Il libro vuole costruire conversazioni più rispettose, spazi di lavoro più sicuri, relazioni più solide.
“È dedicato a chi lavora, a chi studia, a chi vive relazioni, a chi si scontra con il fatto che “non si può più dire niente” in una riunione, in un gruppo WhatsApp, durante un pranzo in famiglia, a un aperitivo tra amici.
È rivolto anche alle persone “accusate” di essere pesanti solo perché provano a essere rispettose. A chi sente di non avere più gli strumenti per rispondere quando un genitore, una collega o un partner sbotta con quella frase. A chi sente la stanchezza di dover scegliere tra il silenzio o il conflitto.
Questo libro, però, è anche per chi la dice, quella frase. Per chi si sente spiazzato, impaurito, irritato davanti a un cambiamento che pare sfuggire di mano. Non è un testo per chi già sa. Non è scritto per dire: “Noi abbiamo capito, voi no.” Anzi, è l’esatto contrario, è uno strumento per orientarsi, indipendentemente dalle proprie idee”.











